Critica

In Verità e paesaggio, uno dei suoi scritti più profetici, il grande fotografo americano Robert Adams afferma quanto sia naturale scegliere di “passare mezz’ora davanti al quadro di Edward Hopper intitolato Domenica mattina piuttosto che stare lo stesso tempo nella strada che ne è il soggetto: è attraverso lo sguardo di Hopper che vediamo di più”.

Questo passo mi viene alla mente ogni volta che mi accosto all’opera di Roberta Rossi o di artisti che, come lei, hanno scelto la strada, spesso impervia, del realismo. La ricerca artistica di Roberta Rossi è caratterizzata non solo dalla radicata scelta di rappresentare il reale, ma anche da una spiccata venatura di leggerezza e di giocosa ironia.

Sin dai primi anni della formazione, questa artista ha affrontato con metodo costante una sperimentazione che le permettesse di mettere sulla tela le molteplici anime del suo sentire, declinate con la tecnica della pittura ad olio, da lei eletta come imprescindibile e personale strumento espressivo. Nei suoi dipinti trovano posto la passione per la mitologia e l’antico, ma anche la squisita conoscenza dei maestri dell’arte contemporanea, una visione “alta” della letteratura ma anche l’amore intimo e personale per la parola scritta.
In composizioni come Il pensiero di Athena l’affascinante testa della dea e l’anfora, preziosamente decorata con la tecnica a figure nere, sono accompagnate da un drappo che, pur panneggiato intorno ad esse, non ha nulla di classico. In Fanciulle alla fonte un analogo drappo rigato circonda l’hydria accogliendo, quasi fosse un’ansa lacustre, ninfee e foglie che sembrano voler richiamare quella fonte presente nel titolo. In dialogo con l’ombra che si addensa nella parte destra dell’opera, la luminosità calda che si sviluppa in questo dipinto e che proietta la composizione in uno spazio sospeso, carico di promesse, è una delle qualità prime del pennello di questa artista.

Alla maniera dei pittori antichi,  Roberta  Rossi  prende sempre le  mosse  dal  disegno preparatorio: dispone gli oggetti, li accarezza con lo sguardo, ne cambia  la disposizione fino a che, con  lentezza, assumono la compiuta espressione di una composizione. Solo allora  il disegno preparatorio, assurto al ruolo di cartone, potrà essere trasposto sulla tela, accogliendo con  eguale  lentezza ed attenzione, il definitivo battesimo del colore.
E’ qui che entra in scena la perizia straordinaria dell’artista: maestra  nello studio  della  luce e  nella resa  dei  volumi, Roberta  Rossi  dona  un’anima epidermica  ad  ogni oggetto o  figura che  prende forma sulla sua tela. La lucentezza dell’alluminio, la trasparenza del vetro, l’opaca polverosità degli acini d’uva, la cerosa rugosità di una mela cotogna: nelle composizioni  di questa  pittrice, toscana e milanese di adozione, è presente una tale verità materica da far pensare che nelle sue vene scorra del sangue fiammingo.
In un dipinto come  La chiave di lettura  è evidente tutto ciò – il riflesso  sulle lenti degli occhiali, il dorso  screpolato  degli  amati  libri,  la  leggibilità  miniaturistica dei  titoli -,  ma c’è anche altro. In controtendenza   con   la  tanta  classicità  di  soggetto  e  tecnica,   Roberta  Rossi  dota   molte   sue composizioni di  un titolo  che  le proietta  nella  divertita  dimensione di  una strizzata d’occhio allo spettatore: sornionamente  appesa  al  limitare dell’ombra, una  piccola chiave  sembra  irridere  alle tante ricerche che, in termini di interpretazione, vengono  fatte  nel  mondo classico della letteratura. Forse la chiave di lettura  più  adatta  per  un  testo  è  quella  più  evidente,  posta  al cospetto di chi ama la parola scritta e il mondo magico che essa  sa costruire. L’ironica  levità  dei  titoli – degna  di René Magritte è Vola la Borsa…, il cui aereo alzarsi dal suolo di una valigetta da  lavoro è sostenuto da un famoso quotidiano economico – è un tocco magistrale, in quanto  sottolinea  come il  retaggio di   classicità   di   questa   pittrice  si   sia   positivamente   contaminato  con   tutte   le  correnti  del contemporaneo, a partire dalle suggestioni del surrealismo.
Nella poetica di questa artista la citazione dell’antico e  la dimensione della  memoria  non  sono  da leggersi come nostalgia di un’età aurea e incontaminata, ma come un potente e necessario passaggio per poter dialogare con le sperimentazioni  artistiche  del  presente  ed  aprirsi  alle  suggestioni  che saprà donare il futuro del concepire e fare arte.

Ha ragione Robert Adams nel sottolineare che ciò che ricerchiamo in  un’opera  non è la sola perizia tecnica, ma è  soprattutto lo sguardo, uno  sguardo  come  quello  che, in  maniera  profonda  eppure leggera, Roberta Rossi ha saputo condensare nelle sue opere fuori dal tempo,  lontane dall’unicità di luogo, opere elegantemente vere, così apparentemente reali.

La lingua italiana utilizza l’espressione “natura morta” per indicare la raffigurazione artistica di oggetti inanimati, spesso segnati dal pervicace trascorrere del tempo, ponendo quindi attenzione sull’idea di negatività connaturata a tali oggetti; in inglese e in tedesco, invece, si usano le espressioni still life e stilleben, cioè “vita silente”, ad indicare quanto di vivo c’è in ciò che viene riprodotto. Questi due differenti punti di vista sottendono, in realtà, ad una questione più profonda, rispetto a quella meramente linguistica: qual è il senso di una natura morta, soprattutto oggi, quando l’arte pittorica si è evoluta lungo direttrici variegate?

Roberta Rossi risponde a questa domanda in maniera spontanea, ammantando di vita ciò che vivo non è: riesce ad instaurare un saldo dialogo con i manufatti che la circondano, dando loro nuova ragion d’essere attraverso le sue opere. Ciò che caratterizza questo dialogo è l’empatia immediata che la pittrice prova nei confronti degli oggetti, spesso umili, che diventano prima argomento di studio, poi elementi di affezione. Il suo sguardo si posa con dolcezza su ciò che abita il suo mondo, permettendole di leggere l’intima essenza di “cose” che trascorrono una “vita silente” e di dar loro voce, il tutto alla luce di una solida cultura figurativa che affonda le radici in una seria preparazione, basata sul confronto con i grandi del passato.

Ecco allora che nei suoi dipinti omaggia i maestri del Surrealismo e della Metafisica, affrancandosene però nel contempo: ha ormai, infatti, una sua precisa cifra stilistica, che si riverbera non solo nella scelta di soggetti che le appartengono prima di tutto emotivamente, ma soprattutto nel sapiente uso dei colori ad olio che, materia duttile, si piegano alle sue esigenze luministiche con velature che sono segno di maestria e studio. 

La luce investe i frutti, i fiori, le statue e da loro si riverbera su quanto li circonda, creando atmosfere sospese e aggraziate che traggono indubbio vantaggio dagli sfondi monocromi che caratterizzano le sue iconografie. Osservandole con attenzione è possibile percepire il respiro dell’universo che si fa comprensibile agli occhi del riguardante, che diviene così protagonista del fluire del vivere che si dipana sotto il suo sguardo. 

La realtà viene, infatti, rappresentata in modo rigoroso e disciplinato, ma partecipe e ciò consente all’artista di trasformare la natura morta in still life, ancora viva, nella consapevolezza che il mondo si crea e si distrugge in un incessante movimento meccanicistico a cui l’arte può porre un freno, eternando ciò che viene raffigurato da chi, come lei, ama l’universo e il suo divenire. 

Il suo occhio attento sa cercare il segreto che si nasconde nel silenzio di una camera e, soprattutto, non ne ha timore nella consapevolezza, come ha scritto il critico Mario Praz, che “V’è una fonte segreta di freschezza anche nelle nature morte, come il seme sepolto nella tomba dei Faraoni era capace di fecondità anche dopo tremila anni d’ombra”. E questa freschezza è il dono che Roberta Rossi riesce a offrire con generosità inesausta a chi guarda.

Nel panorama contemporaneo delle arti figurative, possiamo affermare che Roberta Rossi è un’artista della realtà per almeno due aspetti che si colgono appena ci soffermiamo ad osservare le sue opere: il primo è la maniera rigorosa e disciplinata con cui realizza i suoi elaborati e ciò è palesemente evidente nella tecnica raffinata che usa con pieno controllo. Il secondo aspetto è dato dai soggetti scelti dall’artista, attinti dalla vita quotidiana e dalla natura, a volte anche umili , desueti.

La pittura di Roberta Rossi è una pittura riflessiva, le sue opere nascono nel silenzio raccolto del suo studio, dietro un impulso derivato talvolta dall’osservazione delle opere di grandi Maestri, dalla lettura di testi poetici o da un semplice ricordo d’infanzia. Sensazioni ed emozioni che l’artista traduce sulla tela, curandone ogni dettaglio, quasi a voler proteggere e preservare quella realtà, così fragile, caduca (nature morte), ormai lontana da noi, dimenticata, rifiutata (vecchi oggetti).

In questa società frenetica, usa e getta, in cui la realtà è troppo spesso sostituita dalla dimensione virtuale, Roberta Rossi colloca invece coraggiosamente i suoi oggetti in uno spazio reale e tangibile. L’artista utilizza un linguaggio che si concentra attorno al reale, attingendo a codici tradizionali per giungere alla realizzazione di opere rigorose ma al contempo armoniose, in cui gli oggetti inondati di morbida luce, si perdono inghiottiti nella penombra, in un silenzio sereno e palpabile. Oggetti disposti quasi in posa teatrale, come fossero attori da ritrarre, di cui si riesce a coglierne l’anima, eternando e nobilitando così la loro vita e la loro bellezza ritrovata, in quel preciso istante.

Un ruolo chiave è affidato senza dubbio all’uso sapiente della luce e delle ombre: la luce accarezza le forme degli oggetti che paiono dialogare fra loro, le ombre inghiottono la parte più silenziosa delle cose creando un’atmosfera pudica, quasi a non voler svelare ad un primo sguardo, la totalità, la pienezza degli oggetti, per trattenere ancora un velo di mistero.

Potremmo chiamarle “nature silenti” anziché nature morte, le opere di Roberta Rossi, perché riescono ad evocare la magia del silenzio. L’intento dell’artista è quello di ricercare “il senso delle cose”, attraverso il recupero dei valori umani e della semplicità; è quello di ricreare un preciso momento di un vissuto, di un ricordo d’infanzia; testimonianze silenziose, racchiuse in un piccolo spazio, che sanno “parlare” ad ogni cuore, che sanno regalare emozioni.

Quindi non semplice rappresentazione del vero in quanto tale, ma appassionata ricerca del bello e della poesia insita negli oggetti, condotta con attenzione e cura dei dettagli, che ci consente di riavvicinarci a quegli oggetti qualche volta anche dimenticati, ma che hanno fatto parte della nostra vita o della vita di chi ci ha preceduto, creando involontariamente quel filo che ci unisce al passato e che ci fa comprendere meglio il presente.
Atmosfera, armonia ed equilibrio, ma anche rigore della forma, sono il risultato dell’operare con seria professionalità e passione dell’artista. Suscita interesse nel fruitore, la mirabile politezza e l’armonica fluidità nella scansione tonale e cromatica dei piani compositivi.

La nostra artista crede nella pittura della realtà, che persegue con sempre più determinazione e coerenza, andando consapevolmente “controcorrente” e soprattutto la realizza con quella lentezza che vuol essere un modo da contrapporre a questa società “fluida”, cresciuta troppo velocemente, che prosegue il suo cammino in modo vorticoso e che sta tentando di togliere la capacità di ascoltare ancora la nostra anima.

Tutto ciò lo ritroviamo nelle parole dell’artista: “Avverto una sorta di empatia per gli oggetti più umili, desueti, scartati dalla società; le loro luci, le loro ombre mi catturano e creano un’armonia dentro di me ancor prima che sulla tela ed ogni volta un nuovo impulso, una nuova energia, una nuova “rinascita”, ecco il miracolo della bellezza, ecco il miracolo dell’arte”.

I quadri che vedete qui esposti, una quindicina quelli più grandi, più una serie di piccolo formato, sono piuttosto recenti, preparati espressamente per questo percorso espositivo e dedicati al tema della mitologia, di cui l’autrice subisce da sempre il fascino, come conferma il titolo della presente rassegna. Perché “fascino”? Molti sono stati e sono gli artisti che hanno affrontato questo soggetto, partendo dalle motivazioni più diverse e lontane, a tal punto che, se dovessi ripercorrerne la storia, dovrei operare un excursus su  più di duemila anni di arte occidentale, spaziando dall’età classica antica al Rinascimento, dal Neoclassicismo al Novecento…. Non è pertanto una sfida dappoco cimentarsi con questo tema che, se per gli antichi greci era il presupposto delle loro certezze, è diventato, per altri dopo di loro, un pretesto per raccontare altro; un simbolo, un’allegoria. Perciò torna pur lecita la domanda: nel caso della nostra artista, essi, i miti, sono il pretesto per raccontare che cosa?  Lei stessa se lo chiede: certo,  è affascinata dal mito della bellezza, bellezza che è  ad un tempo armonia e forza creatrice, perfezione formale e poesia, ma non è tutto qui. 

Ha seguito con meticolosa cura la sua ispirazione interrogando le opere del più lontano passato… e non solo. Com’è noto, nulla ci è rimasto di originale della pittura greca su tavola; abbiamo solo quella vascolare e Rossi non solo attinge a quest’ultima, ma anche alla scultura e al bassorilievo ad essa contemporanei. Ricerca una risposta rivolgendosi anche alle opere del Neoclassicismo, Canova in testa, e di altre correnti a noi più vicine.

Va detto che a  Rossi interessano non solo i miti, ma anche i supporti dove essi furono narrati (statue, vasi, metope), e che diventano parte integrante delle sue opere, con un risultato che a volte è di forte impatto drammatico 

(Gigantomachia;  Centauromachia;  L‘ultima battaglia), 

a volte assume un effetto di straniamento, una valenza metafisica.

La risposta, pertanto, potrebbe essere questa: l’importanza, il fascino del mito, sta proprio nell’inesauribile, continuo impulso che ci spinge, come Ulisse, ad interrogarci: su di esso, su di noi, sul mondo. Il risultato dunque  è questo: per Rossi la mitologia è forma e contenuto, ma in più in certi casi è metalinguaggio, quando la pittrice opera accostamenti tra elementi del passato e oggetti del presente (Composizione con kylix; Demetra e i frutti della terra)o  si sofferma ironicamente sul tema di Ulisse tentato dalle Sirene (Le tentazioni di Ulisse :quella corda slegata…). Per questa ricerca di originalità nella composizione e per alcune tecniche di realizzazione, ad esempio il modo di trattare gli sfondi, l’autrice, pur dichiarandosi debitrice degli insegnamenti dei suoi maestri del Gruppo Artistico Rosetum, dimostra di avere operato un meritevole percorso personale.

Così, potrete trovare nelle opere in mostra il messaggio implicito che la ricerca della perfezione e del bello, dell’armonia, non è mai finita. Per fortuna.

La lucida, appassionata ricerca della nostra artista si è focalizzata, nel recente periodo, sul mondo del mito incentrato sulle tradizioni dell’antica Grecia, radice fondamentale della civiltà mediterranea.

Tale ricerca si sofferma inoltre su alcune rivisitazioni delle medesime, proposte da maestri di epoche a noi più vicine, primo fra tutti il Canova. Non si tratta già di mera celebrazione eruditamente archeologica. Roberta Rossi, avvalentesi di un’alta sapienza strumentale, ci dona pagine pittoriche dove lo studio delle fonti saggistiche ed iconografiche risulta costantemente mediato e commentato da personali arricchimenti.

Questi, a volte, si manifestano attraverso l’innesto sulla tela d’immagini simbolicamente riecheggianti con felice misura il tema-guida fulcrale, come nella riproposta di alcuni altorilievi metopei dell’età classica.

In altri casi, abbiamo composizioni dove eccelsi esempi di scultura o di pittura vascolare sono accostati a riferimenti oggettuali, sia appartenenti al medesimo ambito storico artistico, sia fungenti per lo più da commento – nell’innesto di calibrati ritmi formali di sottile libera allusività e di mirabile invenzione – ad epiche vicende d’antichi eroi o ad allegoriche memorie di mitologici amori.

Alla nobile tradizione disegnativa della sua terra d’origine, la Toscana, possiamo far risalire l’esigente equilibrata sintesi della forma e il nitido impianto strutturale delle tele.

Gli oli della nostra artista, sempre preceduti da un’attenta messa a punto dell’idea originaria in scala reale, sono frutto di un’attenta elaborazione critica e strumentale. Risultano in tal modo ricchi di significati allegorici e con una veste pittorica finemente intessuta, sino al conseguimento di un’armonica fluidità nella scansione tonale e cromatica dei piani compositivi. Ciascun lavoro è una creazione che, sia pur apparentata ad altre nate dalla stessa matrice generativa, costituisce per l’artista che l’ha concretata una realtà irripetibile e compiuta. Le opere di Roberta Rossi sono sempre pezzi unici.

“Le isole sospese”. Da bambina, nella sua verdeggiante Garfagnana in quel di Lucca, contemplava da un lato le colline dai dolci declivi dell’Appennino Tosco-Emiliano, dall’altro  il concatenarsi severo delle Alpi Apuane dai crinali, a tratti, delineati in profili quasi antropomorfici; in tale ambiente, Roberta si compenetrava di silenzio. Un silenzio radicato negli ampi spazi offerti da una natura benigna, in cui allo spirito era agevole espandersi libero, in volo alto. Cielo e terra rappresentavano in un certo senso il suo dominio, nel profondo dell’essere. La notte, sognava spesso, in modo ricorrente, di levitare nell’aria su una piatta isola dai bordi di roccia, disancorata da qualsiasi sostegno; un’isola in cui si aprivano, angolosi e irregolari, dei varchi; e lei, inginocchiata, contemplava attraverso queste singolari “finestre” il cielo e le nuvole sottostanti. Forse, quest’esperienza era una proiezione, in chiave onirica, di quanto vissuto quando era sveglia.

Oggi, ritroviamo in molte delle sue tele più recenti il levitare di quelle “isole” in uno spazio simbolico, a volte misteriosamente indefinito. Isole divenienti supporti areali che possono fungere da piste di lancio per il dilatarsi dell’avventura pittorica di chi le ha dipinte, aperte a possibilità ancora da scoprire al di fuori di una emblematica finestra, confine ideale tra una situazione oramai familiare e l’ignoto; isole fungenti da singolare palcoscenico per ingegnose allegorie, in cui magari a dei frutti è affidato il ruolo di attori, adombrando situazioni proprie all’ambito della “commedia umana”, allegorie spesso percorse da una vena sottilmente ironica; o anche isole divenienti quasi piattaforme – astronavi, immobili nel misterioso grembo di una dimensione aliena, tentatrice e seducente tra il leggiadro tendersi di fili, su cui fiorisce a volte il velluto scarlatto di palloncini attaccati chissà dove, o pesano invitanti e tutti da indovinare i desideri di giovani donne. Queste, forse dee, forse ninfe, belle nell’incanto luminescente delle membra – l’ondularsi a nastro dei capelli come in effigi dipinte su antichi vasi attici – stanno inginocchiate vicino ad un sorprendente crepaccio aperto sull’ignoto; sull’ignoto di “cieli e nuvole” dei loro spazi segreti…

Altrove, come in diverse memorabili opere di un recente passato, si evidenziano, in varianti di notevole interesse ideativo e formale, espressioni in chiave metamorfica. Ne sono esempi lavori dove l’identità fisica degli elementi scelti come protagonisti di una composizione si moltiplica in un mutevole “gioco delle parti” in cui le immagini, dipinte su una tela inserita con pennello e colore nel quadro, ne escono in tutto o in parte, divenute tridimensionali, per interagire con l’ambiente o il paesaggio circostante. In alcune opere appartenenti a questo insieme l’autrice propone, mediante varchi ottenuti nella tela virtuale concretata sul supporto, l’irrompere o il rivelarsi del cielo sovrastante i rilievi collinari o il piano roccioso, cielo che nell’organico succedersi delle quinte sceniche è collocato fisicamente dietro la cortina della “tela” medesima. Attraverso questa proposta tematica ed estetica possiamo riconoscere di nuovo, trasformata in polivalente struttura verticale, la fisionomia delle “isole sospese” emergenti dai lontani sogni di Roberta Rossi.

Nei lavori pittorici, ritengo sia da far risalire alla sua origine toscana la predilezione, (ispirantesi principalmente alla natura morta), per una netta sobrietà disegnativa e una compatta sintesi volumetrica.

A tali caratteristiche strumentali, affinate attraverso uno studio esigente ed instancabile si è via via andata ad aggiungere, in successivi approfondimenti e sotto la guida illuminata e competente della professoressa Tina Jacobs, una non comune personalizzazione delle scelte tematiche, attuata nell’incontro-confronto con le principali Correnti artistiche del Novecento.

Tale percorso è stato seguito mediante letture critiche delle più significative opere moderne di noti Maestri, letture sfocianti in esercitazioni volte alla conquista di una sperimentata, consapevole duttilità di scelte interpretative.

L’operare con seria competenza e professionalità rappresenta dunque, per la nostra pittrice, un’irrinunciabile premessa alla concretazione dei suoi lavori.

L’interesse suscitato nel fruitore dalla mirabile politezza e dall’armonica incisività del tessuto cromatico, incastonato nella serena misura del segno strutturante l’insieme, viene grandemente accresciuto dal sotteso simbolismo caratterizzante, con sempre maggior finezza e varietà di proposte, le creazioni più recenti.

Le presenze oggettuali si collocano sovente in realtà ipotetiche, assumendo quindi aspetti più complessi di quelli comunemente riscontrabili; il linguaggio pittorico diviene così “metalinguaggio”.

Si assiste, a volte, allo scambio metamorfico dei ruoli in surreali “ritratti di gruppo” (ad esempio, normali bottiglie diventano, pur conservando la loro volumetria originaria, “frutta da sbucciare”, mentre accanto autentiche mele e pere si trasformano in vetrose sculture dalle traslucide trasparenze).

Ci si trova a meditare su tele su cui fioriscono sotto il pennello graffianti “operette morali”, dove la ben centrata efficacia del messaggio si cala nell’asciuttezza autorevole di un meditato equilibrio formale (valga per tutte la menzione di un quadro su cui una comunissima mela, per di più lievemente difettata, si contempla nello specchio della vanità vedendosi illusoriamente come una principessa da fiaba, dall’aurea perfezione).

Attrae emozionalmente ed intellettualmente in taluni lavori (tra questi, “Fuga di notizie”), riferentisi a realtà ben presenti nel contesto contemporaneo, la , scelta di soluzioni metonimiche permeate da un filo di sottile ironia …

La simbolica ricerca a più livelli continua nel ciclo: “Soggetti omografi” in cui l’occhio e la mente percorrono la ben soppesata coincisione degli accostamenti, apprezzando l’alternanza di nitidi volumi ammirevolmente coerenti con i caratteri fisici propri a ciascuna materia; sia essa, ad esempio (penso a “Dadi. . . e dadi”) lucido pesante metallo fuso informe dalla tecnica funzionalità, i lustri divenienti preziosi come in gioielli; sia essa simile a marmo statuario dal disarmante candore in piccoli cubi dagli angoli sapientemente smussati, segnati su ogni faccia da neri cerchi di numeri; innocuo trastullo in apparenza, ma capaci di trasformarsi talvolta in inquietanti strumenti di potere, sotto la spinta delle passioni pervadenti chi se ne serve.

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